Le fonti dello Yoga
La radice sanscrita “yuj”, da cui il termine Yoga deriva, tra i tanti significati comprende quelli di congiungere, fondere, interagire. Tradizionalmente Yoga si traduce con “unire”, termine che, nel suo significato profondo, segnala quanto sia importante, per noi tutti, percepirci non come individui isolati ma come individui in perpetua relazione con gli altri e in costante dialogo con l’ambiente, sia fisico sia culturale, in cui siamo immersi. Del resto, come dimostrato, soli non potremmo sviluppare nessuna delle potenzialità in noi contenute.
Una realtà questa che spesso tendiamo a ignorare, agendo come se fossimo entità separate. La mancata consapevolezza di ciò che ci unisce al resto del mondo, oltre che fonte di sofferenza, non può che influire negativamente sulla qualità delle nostre azioni e spingerci a non considerare con la dovuta attenzione i loro effetti sul prossimo e sull’ambiente.
Sebbene nato in seno alla cultura indiana e ispirato all’induismo, l’insegnamento dello Yoga non si esaurisce entro tale ambito, ma riguarda temi universali quali la natura della coscienza e la possibilità dell’uomo di realizzarsi quale essere cosciente.
Prima di pervenire a una formulazione scritta, risalente a circa duemila anni fa, l’esperienza dello Yoga si trasmetteva direttamente da maestro ad allievo.
Le fonti di questa millenaria disciplina si trovano in antichissimi testi indiani: i Veda. Il termine Veda poggia sulla radice sanscrita “vid”, che significa conoscere mediante esperienze vissute in prima persona.
I Veda sono una raccolta di verità sperimentate relative alla natura dell’essere umano e ai tanti aspetti della vita. Nella tradizione indiana gli antichi autori dei Veda sono definiti “rishi”, saggi: coloro che percepiscono le cose come realmente sono.
I Veda, costituiti da cinque libri, risalgono a 10-15.000 anni fa, a seconda che ci si rifaccia a cronologie cinesi o europee della storia indiana. Il messaggio dei Veda è stato perpetuato da testi successivi, le Upanishad, che sono circa 500 e, come i Veda, dapprima tramandate oralmente e in seguito trascritte. Il termine Yoga compare per la prima volta nelle Upanishad, e designa un percorso mirato all’evoluzione interiore dell’uomo nonché all’esplorazione di tutte le sue potenzialità.
Il Raja Yoga attinge la sua ispirazione a un testo straordinario: gli Yoga Sutra di Patanjali, che possono essere definiti un testo di “visione”, nel senso che esprimono ciò che diviene evidente solo a certi livelli di coscienza. Un testo prezioso dunque, perché rimanda costantemente alla comprensione diretta di noi stessi. Comprensione che, più che rifarsi a una riflessione, poggia sulla capacità di ascolto e di osservazione interiore del praticante.
Gli Yoga Sutra sono suddivisi in quattro capitoli che includono 195 aforismi.
Il primo di questi capitoli afferma l’esistenza di vari livelli di coscienza e segnala le modalità che li caratterizzano.
Il secondo esprime come noi siamo, lo stato di coscienza da cui partiamo, la direzione in cui procedere, e le cose che è in nostro potere realizzare per passare da uno stato a un altro.
Il terzo parla delle conseguenze della nostra pratica, e di ciò che non possiamo ottenere direttamente ma solo ricevere, accogliere.
Il quarto parla della libertà: la libertà che da tutto ciò deriva.