Perché praticare il Raja Yoga in Occidente
Per comprendere l’utilità della pratica dello Yoga nel mondo occidentale è importante cogliere come questa antica disciplina, accanto a una componente legata alla storia e alla cultura di quel grande paese che è l’India, ne comprenda una più universale, che riguarda la natura dell’uomo e del suo essere cosciente, un aspetto dunque più “esistenziale” che in quanto tale riguarda qualsiasi essere umano.
Lo Yoga dunque si rivolge a chiunque abbia la curiosità e il desiderio di comprendere il proprio mondo interiore, chiunque voglia scoprire cosa significhi essere vivi, sentirsi vivi; perché risulti così difficile essere consapevoli, presenti verso se stessi e gli altri; perché il non essere coscienti inneschi un processo di sofferenza e come porvi rimedio… Tutte queste domande non si possono attribuire in senso stretto né all’Occidente né all’Oriente, bensì a chiunque voglia dare un senso più profondo alla propria esistenza.
Il “Raja Yoga” (Raja significa regale, nobile) denota una pratica interiore di consapevolezza che affronta in modo diretto le questioni esistenziali cui abbiamo accennato, fondandosi sull’innata capacità, comune a noi tutti ma sovente sopita, di “renderci conto”, di rilevare, di accorgerci di ciò che ci accade.
L’Occidente, ma ormai anche l’Oriente, ha imboccato da molto tempo la strada dell’accumulazione e dell’apparire, e la velocità che caratterizza la nostra vita di tutti i giorni impone di conseguenza una crescente accelerazione mentale. E ciò, inevitabilmente, comporta un crescente ricorso ad automatismi e schemi di comportamento.
La nostra mente non è mai a riposo, e l’essere separata dal ritmo naturale e profondo del nostro organismo, imprescindibile per una consapevolezza autentica, la porta a sostituire l’azione con una serie di “reazioni” (l’agire con il reagire). Il risultato di un tale atteggiamento mentale è uno scontento sottile per il quale neppure un desiderio esaudito costituisce un reale appagamento.
Mai come ora, dunque, ci ritroviamo nella necessità di recuperare una dimensione che meglio corrisponda alla nostra natura profonda. Una dimensione più autentica e, insieme, più essenziale.