Il nostro primo incontro con lo yoga risale agli inizi degli anni Settanta, con l’Hatha Yoga per la precisione.
La pratica scandiva in momenti successivi āsana, poi prānāyāma, dharāna e, infine, la postura seduta. Un approccio molto tradizionale, si potrebbe dire.
L’incontro con Gérard Blitz, nel 1978, ci rivelò la possibilità di un diverso approccio a questa disciplina, per quanto altrettanto radicato in un’illustre tradizione, in cui durante la pratica l’attenzione rivestiva un ruolo più importante e lo sguardo imparava a cogliere le percezioni del corpo insieme al ritmo del respiro e alla sua qualità.
E, cosa ancor più importante, si imparava a riconoscere la sensazione di stabilità che questo ascolto rendeva possibile.
Con Gérard ci siamo avvicinati agli Yoga Sutra di Patanjali grazie alla sua capacità di rendere semplici e accessibili affermazioni altrimenti ermetiche.
Gli Yoga Sutra sono il principale testo di riferimento del Raja Yoga. Nel corso degli anni, attraverso l’insegnamento abbiamo scoperto quanta pazienza e determinazione siano necessarie per far sì che la pratica diventi luogo di verifica delle affermazioni contenute nel testo.
Poi, 12 anni più tardi, abbiamo conosciuto Vimala Thakar e con lei abbiamo proseguito il percorso nel Raja Yoga.
L’abbiamo seguita in Italia e in India per 14 anni. Nel 1989 accettò di commentare, per un piccolo gruppo di insegnanti di Yoga, alcune delle principali Upanishad, la Bagavad Ghita e gli Yoga Sutra di Patanjali, offrendo di questi scritti una penetrante visione alla luce della propria esperienza interiore.
La pratica, il rilassamento, l’ascolto, la possibilità di cambiare la qualità dei gesti, tutto questo fa emergere, a tempo debito, una sensazione inedita: il senso di una sorgente a cui attingiamo ogni volta che proviamo ad uscire dal nostro agire automatico e dal nostro stato ordinario.
Un ambito di noi stessi nel quale ci spostiamo quando abbiamo bisogno di ascoltare, di essere consapevoli, di non essere ripetitivi, di non dare le cose per scontate, di esplorare una soluzione nuova, di cui non abbiamo un modello già costituito.
Questo ambito non appartiene al movimento né all’immobilità, all’attività mentale o fisica. Per accedervi, noi facciamo un passo indietro, recuperiamo un grado di libertà, interrompiamo l’immedesimazione.
Torniamo in noi.
Il Raja Yoga si interessa proprio al tornare in sé.
Non è qualcosa che si fa! Quando ci rilassiamo, quando abitiamo i gesti, quando siamo autentici, non facciamo il contrario di qualcosa: è un’affermazione d’essere.
Perché il corpo ha un ritmo più lento di quello della mente ed è fondamentale stabilire un’armonia fra i due ritmi.
Abbiamo bisogno di un tempo adeguato per calmarci e per ristabilire il contatto con le percezioni che raccontano come siamo.
La pratica rivela che l’immagine mentale e la realtà corporea spesso non combaciano: tutti impostiamo i movimenti attingendo alla nostra immagine mentale che non sempre trova corrispondenza nel terreno muscolare.
Ne consegue che i gesti sono imprecisi, non hanno la coordinazione e la qualità che ci si aspetta, non hanno l’elasticità necessaria.
La pratica è un processo di apprendimento che invita trasformazioni nelle immagini mentali, e di conseguenza richiede un tempo adeguato.
Perché il corpo ha un ritmo più lento di quello della mente ed è fondamentale stabilire un’armonia fra i due ritmi.
Abbiamo bisogno di un tempo adeguato per calmarci e per ristabilire il contatto con le percezioni che raccontano come siamo.
La pratica rivela che l’immagine mentale e la realtà corporea spesso non combaciano: tutti impostiamo i movimenti attingendo alla nostra immagine mentale che non sempre trova corrispondenza nel terreno muscolare.
Ne consegue che i gesti sono imprecisi, non hanno la coordinazione e la qualità che ci si aspetta, non hanno l’elasticità necessaria.
L’osservazione meditativa è al fondamento della pratica di Raja Yoga.
La relazione con il corpo e con il respiro, il riconoscimento dei modi in cui organizziamo i nostri gesti, si rivelano importanti processi di apprendimento.
Fino a comprendere che i nostri movimenti risentono delle idee che abbiamo di noi stessi, idee che colorano e influenzano le nostre azioni. Ma anche a notare che esistono momenti in cui non graviamo sui gesti che stiamo facendo, non interferiamo.
Questa è meditazione, un processo di apprendimento in cui si vede allo stesso tempo l’esterno e l’interno: ciò che si fa e come si è mentre lo si fa.
Quindi la meditazione non è limitata alla postura seduta, che pure è una fase importante. E’ piuttosto una qualità di sguardo che ha valore in ogni momento della nostra vita.
Una pratica di yoga può imboccare strade diverse.
Può lasciare sostanzialmente invariate le abitudini percettive e le forme mentali in base alle quali si stabilisce la relazione con il corpo, con il respiro, con gli altri, con il mondo.
Si può praticare, allungare o tonificare la muscolatura, migliorare la propria funzione respiratoria, imparare a concentrarsi e a calmarsi, senza tuttavia liberarsi realmente dai propri schemi di interpretazione e di valutazione. Spesso la mente nutre l’illusione che pervenendo a modificare il proprio stato – realizzando una maggiore calma, una maggiore concentrazione – potrà semplicemente per questo avere accesso a una realtà che va oltre i propri confini.
Procedendo nella pratica dello Yoga è possibile percepire come la mente, finché operante nell’ambito della personalità, rimanga uno strumento sostanzialmente rigido, che tende a seguire percorsi preordinati e mai messi in discussione, e come la struttura corporea e nervosa renda sempre testimonianza di tutto ciò.
Si può altresì realizzare come, di fronte a particolari condizioni legate al sentimento d’Essere, la mente manifesti una “plasticità” e inattese capacità di ampliamento delle proprie funzioni – quando la conformazione consueta della mente si sospende, proprio come suggeriscono gli Yoga Sutra – per arrivare a esprimere una nuova visione allorché gli schemi, fino a quel momento adottati, si rivelano impropri.
Diviene chiaro, quindi, come la configurazione, la ragion d’essere e l’obiettivo della lezione siano intimamente collegati alla pregnanza che l’insegnante, in base al proprio vissuto interiore, riesce a conferire al termine Yoga.